Benvenuto ad una nuova uscita (68/2024) della newsletter di Huddle Magazine.
Ancora qualche giorno ed inizierà ufficialmente la stagione 2025 della NFL con la free agency, molti movimenti sono stati già annunciati, saranno ufficiali dopo le 22 italiane dell’11 marzo. Nel frattempo solo 2 giocatori hanno avuto il tag, un’inversione di tendenza rispetto al passato, e cominciamo le prime indiscrezioni su proposte di nuove regole che saranno discusse a fine mese.
Buona lettura!
Comment-Ale
Alessandro Taraschi ci dice la sua su un argomento prolato senza aver paura di inimicarsi i poteri forti :-) In questo numero: i primi contratti pre free agency.
Huddle Classic in pillole
Quando, nel 1993, venne istituita la Free Agency, i proprietari delle squadre NFL avevano il terrore di perdere i propri giocatori di punta in una sorta di mercato delle vacche in cui avrebbe vinto il più ricco, il più spregiudicato, il più abile, senza poter fare nulla per opporsi. Non avevano tutti i torti, vedendo come si è evoluto il mercato dei giocatori in questi 30 anni di Free Agency, e la NFL cercò di equilibrare un minimo la situazione introducendo i famigerati TAG.
Ogni squadra, dunque, ha a disposizione un Franchise TAG ed un Transition TAG. Di cosa si tratta? In pratica si tratta di una forma di contratto particolare per evitare che un giocatore a fine contratto diventi UFA (Unrestricted Free Agent) e possa andare dove vuole, che prevede un salario calcolato sulla media dei cinque salari più alti del ruolo del giocatore oppure sul 120% del suo ultimo ingaggio. Senza scendere nei vari tecnicismi che differenziano le varie tipologie di franchise tag e di transition tag, la differenza fondamentale tra i due è che nel caso di transition tag, qualsiasi squadra può fare un'offerta al giocatore e la squadra proprietaria può decidere di trattenere il giocatore semplicemente facendo un'offerta identica o superiore a quella ricevuta. E qui casca l'asino, perchè proprio sfruttando questa particolarità del "pareggiare" l'offerta ricevuta, alcuni GM più spregiudicati di altri, trovarono il modo di impedire, di fatto, che l'altra squadra potesse pareggiare l'offerta, inserendo delle clausole particolari chiamate, non a caso, "Poison Pills".
I primi ad usare una Poison Pill in un contratto furono i San Francisco 49ers nel 1996. I New York Giants avevano draftato, nel 1995, il running back Tyrone Wheatley, nell'ottica di sostituire Rodney Hampton nel 1996, ma il primo anno di Wheatley non andò benissimo, per cui i Giants avevano deciso di tenere Hampton ancora un anno per supportare ancora Wheatley nel suo ambientamento, dividendo con lui le portate in attacco, e gli assegnarono il transition tag. I 49ers, che volevano prendere Hampton, gli offrirono un contratto da sei anni, con la clausola di garantirgli il 70% delle portate offensive per le prime due stagioni. Ovviamente questa clausola rendeva impossibile ai Giants pareggiare l'offerta senza, in pratica, tenere a fare la muffa Wheatley per altri due anni. Dopo interminabili discussioni, i 49ers decisero di togliere la clausola dalla loro offerta, e Rodney Hampton terminò la sua carriera a New York nel 1997.
Arriviamo, così, nel 2005, quando emerse in tutta la sua gravità la questione delle Poison Pills nelle offerte ai giocatori sotto TAG.
Quell'anno i Minnesota Vikings erano interessati a Steve Hutchinson, guardia dei Seattle Seahawks a cui era stato applicato il transition tag. Il contratto, di sette anni per 49 milioni di cui 16 garantiti, stabiliva, però, che il garantito sarebbe passato da 16 milioni alla cifra completa, cioè 49 milioni, nel caso Hutchinson non fosse stato l'offensive lineman più pagato della squadra. Seattle aveva in squadra Walter Jones che aveva un contratto migliore di quello di Hutchinson, per trattenere quest'ultimo i Seahawks avrebbero dovuto garantire tutti e 49 milioni dell'offerta, mentre a Minnesota Hutchinson sarebbe stato l'offensive lineman più pagato, ed il contratto sarebbe costato ai Vikings solamente 16 milioni garantiti. I Seahawks fecero causa, ma un arbitrato diede ragione a Minnesota.
La vendetta arrivò subito dopo, però. Quando si trattò di fare un'offerta per Nate Burleson, ricevitore su cui i Vikings avevano applicato il tag, il contratto prospettato prevedeva 49 milioni di dollari per sette anni (coincidenze?), con due piccole ed apparentemente insignificanti clausola: la prima prevedeva che il contratto di Burleson sarebbe stato completamente garantito se il suo ingaggio medio annuale fosse stato superiore a quello di tutti i running back della squadra (a Minnesota i RBs venivano pagati meno di 7 milioni l'anno in totale, mentre a Seattle il solo Shaun Alexander guadagnava oltre 7 milioni), mentre la seconda stabiliva che il contratto sarebbe stato interamente garantito se Burleson avesse giocato almeno cinque partite al Metrodome di Minneapolis, cosa impossibile per un giocatore di Seattle, ma altrettanto impossibile da evitare per un giocatore dei Vikings.
Dopo questa diatriba, in occasione del nuovo contratto tra NFL e NFLPA, venne inserita una voce apposita per impedire l'utilizzo di queste clausole chiaramente vessatorie nei confronti di una delle due parti, ed oggi le Poison Pills sono vietatissime.
(Massimo Foglio in esclusiva per la newsletter)
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Dal sito
Abbiamo iniziato a pubblicare le schede della Strada Verso il Draft, le trovate QUI. I giocatori NFL hanno valutato il luogo di lavoro, QUI i risultati. Addio box e catena, QUI come saranno sostituiti. Sono in svolgimento i campionati italiani di football, QUI risultati e preview. Le partite NFL sbancano i rating USA, QUI tutti i numeri. Abbiamo intervistato Ryan Griffin, ex QB di Saints, Buccaneers e Skorpions Varese, QUI il video. Come è andato il nuovo kickoff NFL? QUI il resoconto.
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L’angolo del Salerio
L'una non si qualifica ai playoff da ben 14 stagioni, al momento la striscia più lunga tra le squadre NFL e la dodicesima di sempre, nel periodo è salita appena una volta oltre il 50% di vittorie e nell'ultima regular season è tornata a livelli catastrofici nonostante il rientro di Aaron Rodgers, con appena cinque successi in totale. L'altra, dopo il Super Bowl XLVI vinto contro i Patriots, è arrivata per due volte in post-season, ma, dal 2017 in avanti, ha collezionato 91 sconfitte in 132 partite giocate e una serie di scelte sbagliate impressionanti, ultima delle quali il benservito nella scorsa free agency a Saquon Barkley, poi laureatosi campione con gli Eagles con un'annata record da 2.504 rushing yard. La New York del football è ai minimi storici ed è complicato capire chi stia peggio, al momento, tra Jets e Giants.
Doveva essere Rodgers il quarterback in grado di riportare i primi ai playoff, interrompendo la maledizione, ma la sua breve avventura nella Grande Mela quasi certamente si concluderà con le attuali 6 vittorie e 12 sconfitte. Dall'ultima vittoria in post-season, nel Divisional contro i Patriots del 2010, a oggi si sono alternati ben 15 giocatori al timone offensivo: Mark Sanchez, Greg McElroy, Michael Vick, Geno Smith, Ryan Fitzpatrick, Bryce Petty, Josh McCown, Luke Falk, Sam Darnold, Joe Flacco, Mike White, Tim Boyle, Trevor Siemian, Zach Wilson e, appunto, l'ex stella dei Packers. L'ufficialità del suo addio è in arrivo e, tra free agency e la settima scelta al Draft, i Jets si muoveranno per sostituirlo, anche se il quarterback non è l'unica priorità di un roster a cui qualcosa di importante manca anche tra le due linee di difesa e d'attacco e in secondaria.
Non stanno granché meglio i Giants, anzi. La terza scelta assoluta al prossimo Draft, che sarebbe stata la prima senza i cinque touchdown di un redivivo Drew Lock in Week 17 contro i Colts, porterà in dote un quarterback, a meno che la squadra trovi una soluzione precedentemente tra i vari Sam Darnold, Justin Fields, Jameis Winston e Rodgers stesso. Non il più allettante obiettivo Matthew Stafford, però, che ha trovato un accordo per restare ai Rams. Dettaglio non irrilevante è che sia Titans che Browns, che precedono New York nella prossima kermesse di scelte a Green Bay, hanno la medesima necessità e i due nomi più succulenti sul piatto, Cam Ward da Miami e Shedeur Sanders da Colorado, potrebbero essere già essere spariti dal board. Prima di sperare di tornare a un record positivo e ai playoff, comunque, i Giants dovrebbero anche puntellare l'eternamente incompleta offensive line e aggiungere linfa vitale in secondaria. Se non altro, tra Malik Nabers e il front seven qualche spiraglio di speranza per il futuro è aperto. E a New York, ultimamente, ce n'è davvero un gran bisogno.
(Alessio Salerio in esclusiva per la newsletter)
Il ruggito della tigre
Più soldi per tutti! Questo sembra essere il nuovo spot elettorale di Goodell. Nonostante il suo mandato scada solo nel 2027 la situazione economica della NFL appare così florida che si avvia a essere portato in trionfo verso un’ulteriore estensione. L’espansione verso il mercato internazionale e l’esplosione delle piattaforme interessate a trasmettere la NFL (Netflix, Amazon,ecc…) porterà a incassare, al rinnovo dei contratti televisivi tra 4 anni, almeno 160 miliardi di dollari per 10 anni.
Questo farà inevitabilmente andare alle stelle un salary cap che nei soli ultimi 2 anni è aumentato di oltre 53 milioni di dollari ed è previsto raggiungere i 360 milioni entro il 2029 (fonte Spotrac). Howie Roseman, General Manager dei Philadelphia Eagles, aveva capito tutto e lo ha sfruttato magistralmente. Con 8 giocatori a roster con un salario medio superiore ai 20 milioni l’anno, e complessivamente pari a 200 milioni circa, ha dimostrato come scommettere sull’innalzamento del cap futuro sia stato un azzardo vincente.
Burrow a 60 milioni, Chase a 40 e Higgins a 30 sembrano a questo punto non solo possibili, ma assolutamente normali se si considera che nel 2029 questi stipendi medi incideranno per circa un terzo del salary cap, meno di quanto proporzionalmente non incidano oggi Hurts (51), AJ Brown (40) e Smith (25). Burrow lo ha dichiarato con insistenza in ogni intervista di questa offseason, indicando gli Eagles come esempio da seguire e arrivando addirittura a spiegare operativamente cosa fare, a partire dal suo contratto che è disposto a ristrutturare: convertire soldi in signing bonus in modo da abbassare il cap hit, spostare l’incidenza degli ingaggi sugli ultimi anni dei contratti e quando arrivi verso il fondo ristrutturarli e convertirli in signing bonus. Il quarterback di Cincinnati ha messo il suo front office con le spalle al muro facendo capire a tutti che non rifirmare dei giocatori oggi, in una squadra con un po’ di spazio salariale come i Bengals, ma non solo, è questione di volontà della società non impossibilità di farlo.
Aspettiamoci, entro un anno, di vedere salire vertiginosamente il monte degli ingaggi, perché è probabile che sempre più squadre seguiranno la strada vincente tracciata da Howie Roseman, anche se è evidente che per molti si tradurrà in un binario morto, perché alla fine puoi avere tutti i soldi che vuoi ma devi saperli spendere ed è per questo che, negli ultimi anni, le franchigie al vertice restano più o meno sempre il solito gruppetto ristretto.
(Giorgio Prunotto in esclusiva per la newsletter)
In chiusura
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Fantastici, e preparatissimi!
Non c’è mai limite, a quello che si può apprendere da voi!
…anche in sto periodo, dove (negli USA) non si calcano i campi!
Stra Bravi!👏👏👏👏👏