Il guardian cap sarà il futuro?
Benvenuto ad una nuova uscita (59/2024) della newsletter di Huddle Magazine.
Domenica dopo domenica stiamo vedendo sempre più giocatori in campo con il Guardian Cap, la sovrastruttura sul casco che serve a diminuire la % di concussion dopo un contatto. Per adesso sono pochi in numero assoluto, ma siamo sicuri si amplierà nel corso di questa stagione (e delle prossime). Gli altri argomenti sono l’utilizzo del salary cap, il National Tight End Day, le interruzioni pubblicitarie i premi di metà stagione e il tempo per lanciare.
Buona lettura!
Il ruggito della tigre
Stiamo arrivando alla trade deadline e i discorsi dei tifosi sono tutti orientati su cosa fare per rafforzare la propria squadra per lo sprint finale che condurrà ai playoff, oppure sulle recriminazioni per del salary cap investito sui giocatori sbagliati o ancora peggio non speso. Io stesso ho sempre recriminato che i miei Bengals non spendessero ogni penny a disposizione del salary cap pur di avere maggiori chance di vincere un Super Bowl. Non dico necessariamente di iniziare a fare manovre finanziarie spregiudicate come ristrutturare i contratti più pesanti e aggiungere void year, ma semplicemente di andare a spendere quella porzione di cap inutilizzato anziché ribaltarlo sull’anno successivo.
Ho sempre adorato le firme di giocatori esperti a poco prezzo verso la fine della free agency, come le trade a metà stagione per accaparrarsi i servigi di giocatori talentuosi a fine contratto in altre squadre che, per magari un terzo giro del draft, venivano a rimpiazzare gli infortunati della prima parte di stagione o a risollevare le sorti in ruoli che avevano dimostrato delle criticità.
Andando allora a prendere su Spotrac i dati di cap space risparmiato per ogni singola franchigia campione NFL ho constatato che non c’è alcuna correlazione tra il cap avanzato e la vittoria al Super Bowl.
Entrando più nello specifico le squadre che si sono aggiudicate il titolo sono state spesso a metà classifica, mediamente al 18° posto, nella graduatoria di chi avesse risparmiato più salary cap alla fine della stagione, come si evince da questa tabella.
Questi dati confermano che puoi anche avere molti soldi a disposizione e spenderli, ma alla fine se non riesci a farlo bene i risultati non arrivano. La lega è stata strutturata proprio per garantire questo equilibrio tra le franchigie, premiando la capacità di scegliere bene i giocatori al draft e amalgamarli con i veterani già a roster o provenienti dalla free agency; ma, adesso che sappiamo come stanno i numeri, possiamo tornare a fare i tifosi e maledire i nostri GM per non aver speso un paio di milioncini di dollari per quel pass rusher free agent che di sicuro ci avrebbe trasformato la squadra e condotto a quello che con noi a gestire la baracca sarebbe stato un sicuro Super Bowl.
(Giorgio Prunotto in esclusiva per la newsletter)
Huddle Classic in pillole
Se vi è capitato di assistere ad una partita NFL o NCAA dal vivo, vi sarete probabilmente accorti che in determinate occasioni il gioco si ferma, le squadre vanno sulle rispettive sideline ed entra in campo un omino con un guanto arancione (in NFL) oppure con un cartello con un countdown generalmente di due minuti (in NCAA). Finchè questi due personaggi stanno in campo, il gioco non riprende. Se invece che allo stadio foste a casa, quello sarebbe il momento in cui vengono trasmessi gli spot pubblicitari durante la partita, i cosiddetti TV time out.
In NFL ci sono otto TV time out a partita già predefiniti. Due si verificano alla fine del primo e del terzo quarto. e due in occasione del two-minute warning nel primo e nel secondo tempo. I restanti quattro vengono distribuiti durante il normale flusso di gioco cercando di non interrompere un drive, per cui vengono chiamati generalmente dopo una segnatura, dopo un cambio di possesso, durante una review all'instant replay, in caso di infortunio in campo o durante i time out di squadra. Non sempre, in queste occasioni, viene mandata la pubblicità, il che significa che il numero di otto time out televisivi è già stato raggiunto o verrà raggiunto con quelli "fissi" previsti, ma può anche succedere che, non essendo stato raggiunto il numero dei tome out previsti, venga interrotto il flusso del gioco per inserire gli spot pubblicitari.
La storia del TV timeout è particolarmente interessante ed anche un po' bizzarra.
A metà degli anni '50, con la nascita dei primi contratti televisivi, più onerosi finanziariamente di quelli radiofonici, le catene televisive si trovarono a dover far fronte ad un grosso problema: finanziare le trasmissioni attraverso spot pubblicitari. Il problema non era trovare gli inserzionisti, che facevano la fila per apparire durante le partite in TV, ma trovare la maniera di mostrare gli spot. La tecnologia televisiva dell'epoca non consentiva di passare dal feed della partita a quello degli spot in un attimo come avviene oggi, e proposero alle varie leghe professionistiche dei periodi concordati in cui le emittenti avessero la possibilità di fare lo switch di segnale e mostrare gli spot.
La NBA fu la prima ad accordarsi e la NCAA seguì a ruota. In NBA venne concordato che gli spot sarebbero stati trasmessi durante i time out chiamati dai coach, ma allo stesso tempo i coach avrebbero comunque dovuto chiamare un time out prima di arrivare ad un certo minutaggio di partita. In caso contrario sarebbero stati gli arbitri stessi ad interrompere la partita e caricare un time out alla squadra che aveva omesso di chiamarlo per tempo.
La NFL arrivò nel 1958. Le prime linee guida dei TV timeout imponevano agli arbitri di chiamarne uno se nessuna delle due squadre avesse segnato o avesse chiamato un time out nei primi dieci minuti del primo o del terzo quarto. Ovviamente ci furono parecchie proteste, perchè questo andava direttamente ad incidere non solo sul flusso del gioco, ma anche delle dcisioni dei coach, che venivano obbligati a chiamare time out anche quando non ne avevano bisogno per poi trovarsi, magari, con un time out in meno nei momenti topici della partita. Allo stesso tempo allo stadio sembrava inconcepibile che, ad un certo momento, tutto si fermasse e si dovessero aspettare i due minuti, o il tempo necessario, per permettere agli spettatori a casa di vedere gli spot pubblicitari.
Nonostante le proteste, le cose non cambiarono ed anzi, peggiorarono al punto che oggi i tempi delle partite sono strettamente dettati dalle esigenze televisive a tal punto che non è infrequente, soprattutto in NCAA, che il kickoff di una partita che magari deve essere trasmessa sulla TV nazionale venga ritardato perchè la partita precedente è andata lunga.
(Massimo Foglio in esclusiva per la newsletter)
Huddle Classic è il podcast di Huddle Magazine dedicato alla storia del football americano, potete ascoltarlo QUI.
Dal sito
Week 8 NFL è alle spalle, QUI trovate pagelle, riassunto, migliori e peggiori e le cronache delle partite. La review della giornata NCAA è invece QUI. Tutte le squadre che abbiamo analizzato in Profondo Roster le trovate QUI. I comportanti di Jerry Jones che hanno amareggiato i tifosi Cowboys li potete leggere QUI. L’Italia ha battuto la Danimarca nelle qualificazioni europee, QUI il racconto della partita.
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L’ospite della newsletter
Il Guardian Cap, la protezione morbida che si applica all'esterno del casco per smorzare gli impatti alla testa, ha assunto da anni un ruolo da protagonista sui campi da allenamento NFL. Quest'anno la lega ha fatto un ulteriore passo avanti, autorizzando i giocatori a utilizzare il dispositivo in partita. Il Guardian Cap è stato testato anche da giocatori importanti durante la preseason (ve lo abbiamo raccontato nell'articolo "Lo storico esordio del Guardian Cap in una partita NFL e i test sui caschi"), ma ovviamente la curiosità di capire chi avrebbe proseguito anche in regular season era tanta. Arrivati praticamente a metà stagione, è giunto il momento di fare il punto della situazione.
Una delle principali critiche rivolte al prodotto è ovviamente di carattere estetico, in quanto lo spessore aggiuntivo conferisce al giocatore un aspetto che si discosta molto dal canone a cui eravamo abituati da decenni ma da cui, a onor del vero, ci stiamo sempre più allontanando anche nelle forme dei nuovi caschi più performanti. Perché il Guardian Cap possa essere utilizzato in partita è necessario usare una cover che riproduca le grafiche del casco della squadra ed è innegabile che in inquadrature ravvicinate si nota in maniera netta sia il maggiore spessore che l'aspetto quasi amatoriale della "cuffietta" aggiuntiva. E' però altrettanto vero che guardando gli highlight o le inquadrature a campo largo è molto difficile identificare chi usa il Guardian Cap. Per questo motivo è possibile che l'elenco che segue non sia completo.
Tra i giocatori che più apertamente si sono schierati a favore del dispositivo ci sono la G degli Steelers James Daniels (da week 5 in Reserve/Injured list) e il TE dei Colts Kylen Granson. Tra chi aveva testato la protezione esterna in preseason, anche il S Rodney Thomas II, un altro giocatore dei Colts, ha continuato a utilizzarla in regular season.
In week 1 sono stati (almeno) cinque i giocatori che hanno indossato il Guardian Cap: ai tre indicati sopra si sono infatti aggiunti il S dei Patriots Jabrill Peppers (attualmente nella Commissioner Exempt list) e il TE dei Titans Josh Whyle. In week 2 si sono aggiunti il LB dei Browns Jeremiah Owusu-Koramoah e l'OL dei Rams Kevin Dotson. In week 4 il rookie DL dei 49ers Evan Anderson, attivato dalla Practice Squad per la partita contro i Patriots, ha fatto il suo esordio in NFL utilizzando il Guardian Cap e al gruppo si è aggiunto anche il LB dei Titans Otis Reese IV. In week 5 anche il DE dei Jaguars Josh Hines-Allen ha usato (unica occasione finora per lui) il dispositivo.
Se la maggior parte dei giocatori citati ha scelto di usare il Guardian Cap come forma di prevenzione, a partire da week 6 si sono aggiunti al gruppo giocatori che rientravano dopo aver saltato partite per via di commozioni cerebrali. Il RT dei Buccaneers Luke Goedeke è stato costretto a saltare quattro partite (da week 2 a week 5) e il S dei Bills Taylor Rapp ha saltato la partita di week 5. In week 7 è stato il turno del RB dei Dolphins De'Von Achane, che aveva subito una commozione cerebrale in week 5 ed era uscito dal concussion protocol dopo la bye week. In week 8 Achane è diventato il primo giocatore con il Guardian Cap a segnare un TD.
Tanti giocatori ancora dichiarano che piuttosto che indossare un dispositivo che compromette la loro estetica preferiscono correre il rischio di esporsi maggiormente alle conseguenze di impatti alla testa. L'azienda che produce il Guardian Cap ha raccolto il feedback, e ha già presentato una versione 2.0 che sarà disponibile dal 2025.
Se guardando le partite notate un giocatore con il Guardian Cap in testa taggate @UniformiNFL su Instagram o Twitter/X o @Mako nella chat Telegram di Huddle Magazine
(Mako Mameli in esclusiva per la newsletter)
Comment-Ale
Alessandro Taraschi ci dice la sua su un argomento prolato senza aver paura di inimicarsi i poteri forti :-) In questo numero: i premi di metà stagione.
L’angolo del Salerio
La quarta domenica di ottobre, che in questa regular season è coincisa con la scorsa Week 8, dal 2018 è conosciuta in tutta la NFL come... National Tight-End Day. Si tratta di una celebrazione nata per caso, quando Jimmy Garoppolo, ex quarterback dei 49ers, chiese a Garrett Celek, che aveva appena siglato un touchdown portando un paio di difensori dei Lions con sé in end zone: "Cos'è, la festa nazionale dei tight-end oggi?" e un giovane George Kittle gli aveva risposto che "Sì, è una festa, i tight-end stanno segnando touchdown in tutta la Lega". E, sei anni più tardi, è stato proprio Kittle ad aiutare a siglare un record storico per il ruolo, nella giornata per loro più rilevante.
Tornando alle questioni del 2024, infatti, la scorsa domenica è coincisa con la giornata in cui i tight-end hanno collezionato più ricezioni nella storia NFL, toccando la straordinaria quota di 177, e aggiungendo anche 16 touchdown, opera di 14 giocatori diversi. Kittle ha ammassato 128 yard in 6 ricezioni con un viaggio in end zone, Kyle Pitts dei Falcons ne ha messi a segno due su quattro ricezioni per 91 yard, anche Cade Otton dei Buccaneers ha fatto "doppietta" e aggiunto 81 yard in 9 ricezioni, le stesse di Trey McBride dei Cardinals per 124 yard e una in meno delle 10 di un ritrovato Travis Kelce nei Chiefs, per 90 yard e con un touchdown annesso. Al di là della festa e di un record senz'altro rilevante, il peso specifico dei tight-end nei reparti d'attacco è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni.
Al primo posto per ricezioni in questa regular season (52) c'è Brock Bowers, rookie nei Raiders, e nelle prime dieci posizioni per touchdown ci sono sia Kittle, al secondo posto (6), che Tucker Kraft dei Packers, a pari merito con tanti altri al quarto posto (5). Ovviamente, le loro sono mani sicurissime a cui affidarsi e, escludendo l'assurdo 94.7% del wide receiver Khalil Shakir, che nei Bills ha ricevuto 36 lanci su 38, sotto di lui ci sono otto tight-end, da Cole Kmet dei Bears (27 su 30) a Sam LaPorta dei Lions (20 su 23). Attenzione, infine, a un'altra statistica meno pronosticatile, quella sulle yard after catch: al secondo posto tra tutti i ricevitori NFL c'è Kraft (10.6) e al quarto LaPorta (9.1). Insomma, le 177 ricezioni del National Tight-End Day non sono un caso: la loro festa è destinata a durare a lungo.
(Alessio Salerio in esclusiva per la newsletter)
Analitichiamo
Tra gli obiettivi primari di ogni offense c'è quello di preservare ed al contempo mettere in condizioni di ben performare il proprio quarterback. Per assolvere a questo duplice compito le franchigie devono assemblare un attacco ben affiatato, specialmente nella connessione qb/wr, oltre ad una linea offensiva che tenga al sicuro il proprio QB.
Come sappiamo avere uno o più difensori che penetrano nella tasca per portare pressione non agevola il compito del quarterback (salvo rari casi), il quale con poco tempo a disposizione si vede costretto a lanciare frettolosamente un incompleto, nella migliore delle ipotesi, o a subire un sack nei casi peggiori. Ma quanto tempo una linea offensiva deve tenere lontano i difensori? Si potrebbe pensare che più tempo viene concesso al quarterback e meglio è, ma la realtà è più complicata.
Dal grafico sottostante abbiamo il confronto di come varia l'epa (asse verticale) al variare del tempo di rilascio (asse orizzontale), sia con la tasca pulita (linea verde), sia sotto pressione (linea rossa). (N.B. a sinistra uno zoom di dettaglio rispetto alla situazione generale sulla destra).
Come ben evidenziato nell'immagine, anche con la tasca pulita (in verde), l'efficienza tocca il suo apice poco prima dei 4 secondi per poi calare rimanendo comunque positiva.
Proteggere il quarterback anche per più secondi non garantisce la buona esecuzione dello schema, visto che altre variabili devono essere prese in considerazione, come ad esempio l'esecuzione delle tracce e la separazione dei ricevitori. Preciso che i dati utilizzati comprendo le stagioni dal 2016 al 2023 ad esclusione delle azioni finite in sack. Tale mancanza non pregiudica le considerazioni, visto che l'aggiunta di tali azioni andrebbe solo ad incidere ed abbassare la linea rossa.
Tenere in mano il pallone per più di 3,5/4 secondi non garantisce un miglior risultato, oltre ad andare incontro inesorabilmente all'arrivo della pressione sul quarterback. La linea offensiva tenderà a soccombere contro la difesa più passano i secondi.
Nel grafico sottostante abbiamo rappresentato il tempo di rilascio sull'asse orizzontale e la pressione portata sull'asse verticale, differenziato nelle linee per i singoli down.
E' abbastanza evidente come la pressione aumenti inesorabilmente al trascorrere del tempo, rendendo assai arduo il compito della linea offensiva. Pensare di avere semplicemente più tempo non basta, anzi è quasi ininfluente. Quello che conta davvero è trovare il giusto ritmo in tutto il reparto offensivo.
(Andrea Casiraghi in esclusiva per le newsletter)
In chiusura
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